Secondo l'articolo 2051 c.c. ciascuno è responsabile del danno cagionato dalle cose che ha in custodia, salvo che provi il caso fortuito. Per l'applicazione dell'art. 2051 c.c. è necessario che il danno sia stato arrecato "dalla cosa".
Sussiste questo requisito quando la cosa in custodia non entra come mera occasione nel processo produttivo del danno, ma è essa stessa causa o concausa del danno: vuoi perché arrecato dalla cosa direttamente, a causa del suo intrinseco potere, vuoi perché arrecato da un agente o processo dannoso insorto nella cosa. Il condominio è certamente custode dei beni comuni esemplificativamente indicati art. 1117 cc (ad esempio, tetto, fondamenta, muri maestri, suolo, impianti comuni, cornicione). Di conseguenza come custode dei beni e dei servizi comuni, è obbligato ad adottare tutte le misure necessarie affinché le cose comuni non rechino pregiudizio ad alcuno.
Conseguentemente, ai sensi dell'articolo 2051 c.c., a carico del soggetto titolare del potere fisico sulla cosa sussiste una presunzione iuris tantum di colpa, che può essere vinta unicamente dalla prova che l'evento dannoso sia derivato dal caso fortuito, inteso nel senso più ampio, comprensivo della forza maggiore, del fatto del terzo e del fatto del danneggiato.
Tuttavia non è possibile dimostrare la responsabilità del condominio, se non si può provare il nesso causale tra lo stato del bene comune e le lesioni riportate dopo una caduta.
Quindi, colui che intende ottenere il risarcimento dei danni subiti dalla caduta di frammenti di cornicione di un condominio è tenuto a dimostrare il nesso di causalità tra il fenomeno del "crollo" di parti cementizie e il danno fisico riportato. È questo il principio espresso dalla Cassazione nella sentenza 2118/22